KANT 2: IL PROBLEMA DELLA MORALE NELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

 


IL PROBLEMA DELLA MORALE NELLA CRITICA DELLA RAGIO PRATICA


Dopo aver affrontato e analizzato dal suo punto di vista il problema della fondazione della conoscenza nella sua opera Critica Della Ragion Pura, il filosofo si dedica alla Fondazione della morale. Quest'ultima nei sistemi filosofici tradizionali derivava dalle dottrine relative all'esistenza dell'uomo e dell'anima e di Dio, ma avendo giudicato tale idee come illusorie Kant deve trovare una nuova via su cui fondare le basi della morale.

Kant nuovamente si propone di trovare delle condizioni a priori necessarie e universali che rendono possibile la morale, perché una morale senza caratteri di necessità e non valida per tutti gli uomini per il filosofo non può essere definita tale.

 

Queste condizioni a priori della morale Kant non le ritrova nella sensibilità, soggetta alle inclinazioni individuali, bensì per il filosofo risiede nella ragione: la legge morale è inscritta in noi come un fatto della ragione.

Nella ragione esiste una regola morale che guida le nostre azioni imponendosi in modo incondizionato e universale senza essere deviata da condizioni particolari o estinti.

Questa legge morale ha una forma di comando, perché deve imporre il proprio imperativi contrastando la sensibilità e gli impulsi egoistici che sono presenti nell'uomo accanto alla razionalità, essendo quest'ultimo caratterizzato dall'attenzione tra istinto e ragione.

Se l'uomo propendesse soltanto verso uno di questi impulsi, non sarebbe più necessaria la morale perché l'uomo sarebbe o governato totalmente dall'istinto, oppure resterebbe eternamente in uno stato di ragione.

Per Kant l'uomo è imperfetto e limitato, e la sua virtù risiede proprio nella lotta che egli deve sostenere per contrastare la sua natura sensibile, il suo essere fenomenico, impegnandosi in un percorso etico che non potrà completare in questa vita.

GLI IMPERATIVI DELLA RAGIONE

Kant parla di ragione distinguendone l'uso pratico da quello teorico.

L'uso della ragione a livello teorico viene condannato da Kant, perché tende a distaccarsi dall'esperienza per inseguire delle illusioni metafisiche.

L'uso pratico della ragione invece viene esaltata dal filosofo perché indipendente rispetto all'esperienza, questa coincide con la volontà intesa come facoltà che consente di agire in base a regole razionali che non orientano le scelte

per il filosofo ci sono due tipi di principi della ragion pratica

-          le massime: prescrizioni di carattere soggettivo valide per un individuo particolare che le segue (ad esempio la massima di moderarsi nel cibo, di non fumare e di praticare più sport)

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-          gli imperativi: prescrizione di carattere oggettivo che devono valere per tutti.

Gli imperativi a loro volta sono suddivisi in

-          imperativi ipotetici: hanno la forma del se e dell'allora e prescrive un'azione in vista del raggiungimento di un fine determinato che non è necessariamente condiviso da tutti.

 

-          Imperativi categorici: sono degli imperativi incondizionati che comandano un'azione a prescindere dal fine o dagli effetti che ne possono conseguire. Esprimono la legge del dovere per il dovere, racchiudendoli in una formula breve si può usare “tu devi”.

 

Per Kant la moralità fonda proprio su questo ultimo, dovendo essere libera e autonoma rispetto alle situazioni dell'esperienza, e perciò incondizionata e universale, in poche parole deve valere per tutti e sempre.

Nella sua opera la Fondazione della metafisica dei costumi, l'autore ribadisce il concetto dicendo che fare qualcosa secondo il dovere ma non per dovere non ha alcun significato morale.

Per il filosofo il conservarsi in vita è un istinto e un bisogno naturale dell'uomo quindi non è un'azione morale, mentre se quest'ultimo è arrivato al punto da desiderare di voler morire ma resta in vita quella è un'azione morale.

Inoltre, per Kant l'etica non può essere associata alla ricerca della felicità,in quanto questa dipende da una serie di circostanze esterne o interiori e perciò farebbe venire meno i presupposti l'incondizionata mezza e dell'autonomia assoluta dell'agire etico.

Per questo motivo il fulcro dell'etica kantiana risiede nel fatto che la virtù consiste obbedire alla legge morale che impone il tuo devi indipendentemente da qualsiasi fine o motivazione esteriore.

Il criterio del l'universalizzazione

Essendo l'etica kantiana un'etica del dovere, categorica, e incondizionata Cioè che si compie il dovere solo in vista della legge e per rispetto della legge, e inoltre anche formalistica per chi non prescrive il contenuto di ciò che dobbiamo fare ma soltanto la sua forma a priori.

Per capire qual è il proprio dovere nelle varie situazioni della vita Kant propone il principio di universalizzazione.

Il principio di universalizzazione aiuta gli uomini a sapere se l'azione concreta che vogliono mettere in pratica è moralmente accettabile o meno, ciò viene fatto chiedendosi se è opportuno che la propria azione sia generalizzata e applicata su vasta scala. Essendo l'uomo un essere razionale può quindi capire se la propria azione è accettabile o meno.

 

 

L'imperativo categorico

LA PRIMA FORMULAZIONE

La prima formulazione dell'imperativo categorico prevede che la massima di un'azione, cioè la regola che guida il comportamento, può valere come principio morale sol se è universalizzabile e quindi applicato a ogni uomo.

LA SECONDA FORMULAZIONE

Nella seconda formulazione dell'imperativo categorico dice Kant che l'uomo non può mai essere trattato come un mezzo per il nostro egoismo o i nostri desideri e ciò vale per noi stessi e per il prossimo

LA TERZA FORMULAZIONE

la terza formulazione dell'imperativo categorico prevede che la volontà consideri se stessa come universalmente legislatrice, obbedendo così soltanto a se stessa e non è soggetta ad imperativi esterni. L'uomo è così suddito e legislatore allo stesso tempo, perché in questa dimensione rispetta la legge morale e la dignità di se stesso e degli altri, manifestando la propria libertà al livello più elevato.

 

È necessaria una convinzione interiore

L'etica per Kant non richiede una mera conformità al fatto del dovere ma anche una convinzione interiore che è giusto fare ciò che la legge comanda. Se non siamo d'accordo a fare ciò che la legge comanda ricadiamo nel campo della legalità e non in quello dell'agire morale.

Per Kant la volontà deve aderire alla legge morale in quanto la volontà è indipendente dalla natura fisica e psicologica dell'essere umano ed è fondata unicamente sulla ragione. In questo modo il filosofo elimina dell'ambito dell'etica ogni riferimento a emozioni o sentimenti.

Attraverso la moralità l'uomo si eleva al di sopra del sensibile e delle leggi di natura e su di essa soprattutto per il filosofo si fonda la religione.

Infatti secondo Kant la religione è fondata sulla morale in quanto le sue dottrine fondamentali non sono altro che postulati della ragion pratica.

I postulati sono proposizioni che pur non essendo dimostrabili devono essere ammesse come condizioni della stessa esistenza e pensabilità della morale

I postulati della ragion pratica

Il filosofo ritiene che nell'uomo permanga l'insopprimibile esigenza di pensare che colui che agisce per dovere sia anche degno di felicità è così Kant propone ti postulare un Dio che garantisca una felicità proporzionata alla virtù e un aldilà in cui si possa realizzare quel sommo bene che in questo mondo sembra inattuabile.

Oltre al postulato dell'esistenza di un Dio che garantisce la possibilità del sommo bene, il postulato di un'immortalità dell'anima che garantisce la realizzabilità del sommo bene c'è il postulato della libertà che rappresenta la condizione stessa dell'etica e che permette all'uomo di sottomettersi o meno alle prescrizioni della legge morale che espressa infatti come un comando.

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